Mitigare la pressione sulle risorse naturali con azioni chiave, come la prevenzione e il riutilizzo di rifiuti, è ormai diventata una delle priorità per combattere il cambiamento climatico.
In questo contesto si inserisce il progetto CirCo (Circular Coffee), un progetto di bio-economia circolare nato dalla collaborazione tra diverse realtà.
Finanziato da Fondazione Cariplo e InnovHub-Stazioni Sperimentali per l’Industria, coinvolge il Cnr, il Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università di Milano, l’Accademia Eurac Research di Bolzano, la multinazionale cosmetica Intercos e la cartiera Favini.
La coordinatrice del progetto Nicoletta Ravasio ha affermato che l’obiettivo finale del progetto è la valorizzazione del residuo della torrefazione del caffè, il silverskin ovvero la pellicina che avvolge il chicco.
Tramite la collaborazione dei diversi attori e con un approccio multidisciplinare, si è potuta instaurare una simbiosi industriale, dove i prodotti di scarto di un’azienda sono diventati materie prime per un’altra azienda o per un altro processo produttivo.
Ma cos’è in parole semplici il silverskin?
Nicoletta Ravasio: “Il silverskin è una pellicina che si stacca dal chicco di caffè quando quest’ultimo si gonfia durante il processo di tostatura.”
Questo residuo è presente in grandi quantità, in quanto l’industria del caffè è una delle più commercializzate, con milioni di tonnellate di caffè prodotte e consumate ogni anno. Solo in Italia ogni anno vanno smaltite 7.500 tonnellate di silverskin.
Il grasso, dopo essere stato estratto, è stato utilizzato da Intercos per produrre un rossetto e l’acido clorogenico è stato valorizzato per le sue proprietà anti-age.
Considerata la quantità di questo sottoprodotto, nasce la necessità di trovarne degli impieghi alternativi, favoriti dalle sue capacità chimico-fisiche. Infatti il silverskin contiene un grasso particolare e l’acido clorogenico che possono essere utilizzati nella cosmetica.
Che caratteristiche ha il prodotto finale?
Gabriele Depta, advanced and applied research director di Intercos: “Ci siamo focalizzati sulla frazione lipidica che ha caratteristiche cosmetiche di emollienza, effetto filmante e brillantezza. Abbiamo realizzato un prodotto per labbra molto pigmentato e molto brillante.”
Oltre a queste due componenti, il silverskin è ricco di cellulosa e ciò implica un’alta compatibilità con la carta.
Favini ha quindi utilizzato questo scarto per produrre una carta sostituendo il 15% di cellulosa da albero.
Il risultato è una carta ecologica, certificata FSCTM, a zero emissioni, biodegradabile e riciclabile con una ricetta unica: 15% di scarti del caffè, 40% cellulosa riciclata.
Come funziona il processo produttivo?
Achille Monegato, R&D Manager di Favini: “La cartiera Favini ha messo a punto e brevettato un sistema per produrre carta partendo da biomasse, il processo Crush. Questi materiali sostituiscono fino al 25% di cellulosa ed è un esempio di economia circolare.”
Questo particolare processo produttivo ha un minor impatto ambientale e utilizza 100% energia verde. Applicando i principi di economia circolare è stato possibile utilizzare il residuo della torrefazione del caffè in ambito cartario.
La carta Crush può essere utilizzata per l’editoria di pregio e il packaging di lusso, è adatta alle comuni tecniche di stampa e la sua storia la rende affascinante e gentile con l’ambiente.
In piena ottica di simbiosi industriale, il progetto CirCo ha dimostrato che lo scarto della produzione del caffè può essere recuperato e diventa materia prima seconda per l’industria della cosmetica e della carta. Il networking e lo scambio di know how è stato fondamentale per accrescere il valore di un sottoprodotto.